RACCONTI di vita 'aeronautica'

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Come si prende il bacillo del volo che ti cambia la vita
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A 15 anni passeggiava sullo splendido lungomare di Salerno a tre corsie lussureggiante di piante e aiuole fiorite con l’odore della salsedine portata dalla leggera brezza in un pomeriggio inoltrato di primavera. Il sole illuminava lo sfondo, la costiera amalfitana, che si precipitava nel mare estendendosi in esso fino a Capri. Il monte Faito, con i suoi 1200 metri, incuteva rispetto e sembrava abbracciare i paesini bianchi abbarbicati alla sua roccia lussureggiante. Assomigliava ad un presepe napoletano.
Era nato a Vietri sul mare, primo paese della costiera amalfitana. Abbarbicato alla costa aspra si collegava alla Marina, un borgo di pescatori incastonato nella roccia, con una strada ripida in sampietrini, a’ petrara’. Proprio lì in fondo lui nacque, in una casetta in riva al mare, di fronte ai “due fratelli” due scogli bellissimi vicini alle spiaggia.
Il paese era un gioiello prima di un alluvione che ne cancellò quell’antica bellezza. Lui ricordava sempre la piazzetta sul fiume che decretò il disastro. Tutta lastricata con sampietrini si affacciava sulla foce con la spiaggia ai due lati. In paese fioriva l’artigianato delle ceramiche dipinte a mano che ne facevano da tempo un paese di ceramisti che avevano fornito opere d’arte a Certose e palazzi reali, conosciute in tutta l’Europa. Lampioni antichi ornavano i limiti della marina con piccole panchine. Era un gioiello ancora più bello perché memorizzato con i suoi occhi di ragazzo felice quando vi si recava per andare a trovare i nonni materni, dopo il trasferimento della sua famiglia a Battipaglia. Era felice anche perché la sua sete di conoscenza tecnica che aveva nel sangue veniva o era venuta? dal lavoro di suo nonno che già maestro d’ascia come suo padre e suo nonno allora era il proprietario di un cantiere navale. Lui correva subito a vedere le meraviglie che costruivano. Non erano barchette ma pescherecci di almeno 30 metri in parte costruite sulla spiaggia ed in parte vicino al fiume dove si traeva l’energia meccanica per far muovere le macchine, enormi trascinate da cinghie che correvano lungo lo stabilimento.
Ma il mare non era il suo destino, questo era in agguato a Salerno a circa 14 anni dove da Battipaglia suo padre era stato trasferito come capostazione.
Passeggiava con un compagno di cui non ricordava più il nome. In seguito non si incontrarono spesso ma ogni incontro è determinante nella vita degli uomini e questo fu per lui un balzo in un’altra dimensione. Ricordava bene il suo aspetto placido ed il suo corpo rotondetto. Questo compagno ebbe un ruolo principale in tutta la sua vita decretando la sua vita professionale.
Ad un certo punto il compagno gli chiese:
«Vuoi venire a casa mia? Debbo completare un modello»
“Un modello cosa, di che?” pensò, e la sua innata curiosità non gli fece avere dubbi.
«Andiamo!»
Mentre camminavano gli spiegò che il modello era un piccolo aeroplano costruito pezzo per pezzo e che faceva volare al campo di volo di Pontecagnano a 20 chilometri da Salerno. Risalirono la grande Via dei Principati costellata di negozi eleganti e salirono al primo piano di una casa ariosa. Il compagno lo fece accomodare nella sua cameretta.
Sulla sua scivania c’era un asse di legno squadrato, lucido su cui c’era un disegno e su di esso fissati, con spilli, dei legnetti che formavano un rettangolo allungato al centro del quale c’erano una serie di altri sottili legnetti con un dorso leggermente arrotondato.
«Sto costruendo l’ala di un aliante»
«Ma questa cosa come diventa un’ala? e poi un aliante che tipo di aeroplano è?»
Lui era molto gentile sorrise e cominciò a spiegargli.
«Questi sono i longheroni … queste sono le centine … sono realizzate in balsa che è un legno leggerissimo e vengono incollati insieme da una colla che facciamo noi con l’acetone e le pellicole fotografiche. Ti faccio vedere un modello finito»
Andò in un'altra stanza e tornò con uno scatolo in legno stretto e lungo con stemmi alati e verniciato in bianco con sopra un manico, sembrava la maniglia di una porta. Aveva un coperchio incernierato, lui l’aprì e dentro erano stipate tra supporti di spugna sagomati delle parti colorate in rosso e giallo, lucide, simili a quella che stava costruendo. Si vedeva, infatti, in trasparenza la struttura di balsa. Ne sfilò due e le accoppiò con un tondino di ferro
«Queste sono le due semiali e questo tondino è la baionetta in acciaio armonico … insieme formano un’ala di aliante»
Gli si parò davanti una meraviglia, un’ala grande più della scrivania snellissima con le parti estreme rastremate ed inclinate leggermente verso l’alto.
«… ma assomiglia all’ala di un gabbiano, solo molto più grande!»
Sfilò un’altra parte che stava sul fondo, era una stecca di legno sagomata davanti e tutta arrotondata agli spigoli che si rastremava da una parte diventando molto sottile, era tutta verniciata in rosso con un disegno a mò di fulmine centrale in giallo. A poca distanza dal muso, più cicciotto del resto, c’erano due fori.
«…questa è la fusoliera»
Con un’abile rapida manovra scollegò le due semiali ed infilò la baionetta nel primo foro e prendendo dallo scatolo una seconda baionetta più piccola la infilò nel secondo foro. Riprese le due semiali e le infilò nelle baionette. Prese, ancora, una piccola aletta rettangolare gialla, costruttivamente simile alle semiali, e la fissò con degli elastici alla punta sottile della fusoliera, era la coda “del gabbiano …”
Lo sollevò facendolo roteare con attenzione, data la dimensione, e lo guardava dalla punta con un occhio chiuso … controllava l’allineamento delle ali e la coda.
«Ecco l’aliante o wakefield come lo chiamiamo sul campo. Devi sapere che volano molto in alto e per parecchi chilometri a volte, ecco perchè andiamo all’aeroporto a farli volare»
Aliante, aeroporto, centina, longherone, baionetta, semiali, fusoliera … era ubriaco … era tutto bellissimo … volava in alto e per molti chilometri??.
Ma non capiva … voleva sapere … cercava di immaginare … era impossibile … chiedeva ma non riusciva a capire. Gli regalò un libricino.
«Qui ti spiega l’aerodinamica cioè come e perché gli aeroplani volano»
Andò via ubriaco non aveva mai bevuto ma era ubriaco, il cuore gli batteva, sentiva un’attrazione fatale, vedevo il cielo azzurro non più vuoto ma pieno di aeroplani che volavano. Arrivato a casa si chiuse nella sua camera e cominciò a leggere. Più leggeva e più andava in crisi … profili, portanza, resistenza, planata, incidenza … era difficile, no impossibile.

Si rese conto che era buio quando entrò la mamma per la cena. Gli sorrise e gli fece una carezza. «Bravo! Oggi hai studiato molto più del solito, su vieni a cena»
Mangiò in fretta, in silenzio. Nella testa gli scorrevano le parole del libro e le domande aumentavano era strabiliato dal miracolo della portanza: non era l’aria sotto le ali a spingerle in alto in volo ma un risucchio sopra!. Era da capire come fa l’aria a risucchiare se scorre su un’ala.

Questa volta si ritirò subito dopo cena in camera, la mamma lo seguì con uno sguardo interrogativo, aveva intuito qualcosa.V «Pasqualì ma ti senti bene? e’ successo qualcosa?»
«No! no, ho una cosa da leggere»
«Da leggere?»
«Si! perché non leggo ogni tanto?»
«Mah … Ma se ti debbo tenere bloccato, per farti leggere qualche libro»
«Ma questo è bello»
«Over’ ma fammi vedè»
Non credeva ai suoi occhi e chissà cosa pensò che potesse interessarlo così tanto.
«Veramente a me sembra un libro di scuola»
«No, è solo per sapere come volano gli aerei»
Lei andò via richiamata dagli impegni familiari, lo sguardo interrogativo ma serena che studiasse.

Le notti ed i giorni seguenti fu preso dal fuoco sacro. Studiava come non mai ma la materia era difficile; e più aveva difficoltà più il desiderio lo pervadeva. Dopo molti giorni in cui l’alba lo risvegliava alla realtà e dopo aver cercato altri libri ed informazioni sul volo (non esistevano i computer e wikipedia, solo nelle librerie si poteva sperare di trovare qualche libro), chiese aiuto al suo amico aeromodellista.
«Vai da Libertino, il delegato per l’aeromodellismo dell’Aero club d’Italia»
Fu la salvezza era all’alba della conoscenza.
Alto non più di 1 m e 60 magro, scattante, sempre sorridente, allegro, lo accolse immediatamente a casa sua tappezzata di immagini di aerei. Cominciò immediatamente a spiegare veloce senza prendere fiato passando da una stanza all’altra per mostrargli delle riviste, parti di modelli e attrezzature necessarie alla loro costruzione. Gli diede delle riviste con articoli tecnici e lo iscrisse all’AeCI. Gli mostrò come stava realizzando e quale era il risultato finale di un aeromodello. Continuava a dare dati e tecniche realizzative … lui in silenzio tentava di registrare tutto. Sicuramente aveva fissato i punti chiave … anzi credeva.
Tornato a casa e cercò subito la sorella Letizia. Aveva bisogno di finanziare l’acquisto dei materiali. Lei era la sua banca. A Natale ed al compleanno lei conservava tutti i regali in moneta. Con un bacetto e un primo rifiuto riusciva quasi sempre ad acchiappare quello che gli serviva. Anche questa volta andò bene Letizia fu la mecenate. Con i soldi in tasca andò a comprare le tavolette di balsa, il taglierino, la colla, la carta vetrata, un martellino e gli spilli. Aveva le squadrette la riga e la matita scolastiche. Era raggiante.
La mamma come sempre gli chiese dei compiti, questa volta invece di sbuffare rispose immediatamente.
«Vado a comprare un quaderno e inizio subito»
Tornò non molto presto e di soppiatto infilandosi in camera. Completò i compiti in un lampo, cioè quelli che era possibile arrangiare subito. Aprì i disegni di Libertino: erano di un’ala di aliante di quasi due metri di apertura, una favola! Aveva bisogno di un appoggio, di una tavola per montare i pezzi, come quella del suo amico ”galeotto” provocatore. Si guardò in giro ma aveva solo la scrivania …. poteva andare!. ‘Starò attento, la sgombererò e pulirò ogni volta, dopo aver realizzato i pezzi’
. Era una scrivania antica, intarsiata, realizzata dagli intagliatori del cantiere navale del nonno. Era ricoperta al centro di un panno verde, la mamma ci teneva molto, gliela aveva “consegnata” in qualità di primogenito per farlo studiare dignitosamente … avrebbe dovuto solo stare attento.
Studiò bene il disegno, capì come doveva ritagliare i pezzi e incollarli fra loro: chiudendo gli occhi rivedeva il filmato di quello che aveva visto dal suo amico e da Libertino con il suo sonoro turbinante di informazioni.
Cenò in fretta diede la buonanotte e ritornò in camera. Tagliò i pezzi: longheroni, centine bordo d’entrata e bordo d’uscita. Stese il disegno con sopra un foglio di plastica, per evitare che, incollando i pezzi, si incollasse pure la carta col disegno (così preservava pure la scrivania!). Fissò con gli spilli, in posizione come da disegno, il bordo d’entrata e d’uscita (il panno non avrebbe sofferto) ed incollò le centine tenendole in posizione sempre con gli spilli. Non gli sembrava vero ma il primo tronco di ala era proprio come quello del suo amico! c’era riuscito!.
Le ore passavano era oramai notte ma a lui era sembrato un lampo. Nell’attesa che la colla asciugasse ripulì la segatura che avevo fatto sagomando il pacchetto di centine ed aprì la finestra perché uscisse l’odore della colla. Andò a letto all’aurora, sbadigliando mentre toglieva gli spilli e riponeva tutto nell’armadio: Tutto come programmato!
A scuola era un dormiente e fu interrogato. Si meritò un bel 4, ma era felice.

La notte dopo il 4 preso a scuola riprese i lavori e così, dopo una settimana di nottate, le strutture dell’ala e del timone erano pronte. Vedeva già il modello finito, proprio come quello che gli aveva fatto vedere Libertino. La mamma era un po’ preoccupata della sua stanchezza durante il giorno, non era mai successo, e voleva portarlo dal medico. Fu costretto a dirle che faceva tardi a studiare l’aeromodellismo e che un suo amico gliene avrebbe regalato uno appena finito. Gli risultava sempre più difficile nascondere accuratamente nell’armadio i pezzi in costruzione.
Adesso doveva rivestire le strutture con la carta colorata e realizzare la fusoliera. Era la parte più facile!: bastava procurarsi la carta e del compensato per la fusoliera. Si mise in cerca della carta. I cartolai non capivano la sua necessità pur con le sue dettagliate spiegazioni.
«E’ una carta lucida, colorata, trasparente che si usa in modellismo»
Girò parecchio ed alla fine un cartolaio gli presentò una carta rossa lucida trasparente, proprio come la ricercava.
«E’ una carta oleata, c’è l’ho solo io a Battipaglia» gli disse.
Il falegname era sulla strada di ritorno, gli regalò due strisce di compensato bello spesso. La notte incollò con una certa difficoltà la carta sulle strutture delle semiali e la notte seguente ritagliò ed incollò insieme due pezzi con la forma della fusoliera, come da disegno.
Ci volle molto per arrotondarla e fare gli attacchi delle ali e del timone. Finalmente tolse i disegni dalla scrivania e la polvere che si era accumulata sul panno. Con cura lo spazzolò … oh! no! era tutto tagliato, linee sottili in tutte le direzioni: quando usava il taglierino per tagliare le listelle di balsa incideva anche il panno! Era in panico. Ma la vista delle ali rosse lo consolò subito. riempì il piano di libri e quaderni, da lontano non si vedeva nulla.
La domenica avvolse il modello smontato con cura e con il “pacchetto” uscì di soppiatto. Andò al campetto che usava per il calcio a far volare il suo primo aliante.
Da quanto aveva studiato e aveva registrato dai discorsi di Libertino gli sembrava semplice:
”allinearsi al vento, fare due o tre passi tenendo il modello in alto in orizzontale e, con una leggera spinta, lasciarlo andare in planata”. Si ripetè mentalmente la procedura, tentò una prima volta ma aveva tenuto il modello troppo basso, riprovò guardandolo stagliarsi contro il cielo azzurro e lo lanciò. Precipitò subito come un mattone!?? Riprovò più veloce …. precipitò … poi più forte … precipitò! Andò a letto digiuno, la notte ebbe degli incubi: il padre lo puniva per la scrivania rovinata ed a scuola lo bocciavano. Si svegliò in un bagno di sudore e pianse. Ma come sempre non si arrese.
Andò con il “pacchetto” da Libertino. Volevo capire.
«Non vola»
disse laconicamente e gli porse il pacchetto. Lui lo prese per aprirlo, come sempre sorridendo accogliente, prese le parti del modello, le guardò, le soppesò e rise
«Ma è pesantissimo, cosa hai combinato!?»
«Molto bene hai capito come si costruisce un modello»
Si rincuorò.
«ma hai usato dei materiali pesanti. Devi sapere che per volare bisogna essere leggeri, molto leggeri ma anche resistenti per cui la sfida è realizzare le cose con una tecnica più accurata. Il legno che hai usato per la fusoliera doveva essere di balsa e essere alleggerito all’interno. Poi questa carta è un piombo per un aeromodello. Per realizzare la copertura delle ali bisogna usare questa carta speciale, Jap, leggera e resistente»
Ne prese un pezzo da un cassetto e gliela mostrò, poi la lasciò cadere. Cadde lentamente come una piuma.
«Va incollata alle strutture e poi con la colla molto diluita va verniciata, poco alla volta con diverse mani. Vedrai che diventerà lucida, tesa e resistente»
Aveva intrapreso la professione di aeromodellista. Lo portò via via a conoscere tecniche che poi trovò nell’industria aeronautica: dall’uso delle colle epossidiche ai materiali compositi alle strutture alveolari alle leghe speciali di acciaio ed alluminio, ai meccanismi meccanici ed elettronici. Non era un gioco, erano aeroplani, piccoli, non portavano passeggeri ma obbedivano alle stesse leggi dell’aerodinamica che fanno volare un 747 che può trasportare 500 passeggeri.

Gli anni successivi gli amici aeromodellisti costituirono una squadra di volo libero il “Cavalluccio Marino”, simbolo di Salerno, e si avventurarono in giro per l’Italia partecipando a tutte le gare di campionato. Partivano dal profondo sud, povero, con “un blue jeans ed una maglietta” rimanendo prima frastornati dai colori e l’organizzazione delle squadre del nord poi mortificati dal loro sorrisetto di superiorità. Capirono come organizzarsi, approfondendo le loro conoscenze: erano salernitani svegli ed intelligenti. Si dotarono di un gagliardetto e di una divisa. All’apertura delle gare di campionato dell’anno successivo ‘i nordisti’, dopo le prime gare prima si impensierirono e poi furono battuti. Nel club entrarono le prime desiderate coppe.
Si allenavamo sull’aeroporto in località Pagliarone vicino Pontecagnano a 20 minuti di filobus da Salerno. Alle 6 del mattino, per far volare i loro modelli in aria calma, tutte le domeniche e le feste comandate. Erano ormai dei piccoli campioni. Lui era un aliantista, adesso sapeva come progettarli. L’ultimo costruito aveva 2 metri e mezzo di apertura alare con struttura geotedica – un reticolo di rombi - ed un profilo dell’ala disegnato da lui sulla base di tutte le teorie che ora maneggiava con sicurezza: il bordo d’entrata era appuntito, una vera novità, la fusoliera in tubo in carbonio ricavato da un pezzo di canna da pesca alleggerita fino a 3 decimi di millimetro ed un’ogiva in alluminio con gancio di traino automatico. A questo si agganciava il cavo di traino avvolto su un trapano a mano con puleggia (avvolgicavo manuale) di 50 metri di lunghezza. L’aliante era sostenuto da un compagno che seguiva la sua leggera corsa di traino trotterellando contro vento in modo che il modello, sotto tiro del cavo, acquistasse portanza prendendo quota. Quella massima era 50 metri: la lunghezza del cavo. Il trucco era di farlo galleggiare fermo contro vento senza sganciarlo, tenendolo al guinzaglio nell’attesa di sentire una leggera tensione del cavo che segnalava di aver incocciato il bordo di una termica. La presenza di uccelli roteanti intorno ad un punto segnalavano il centro della termica. Bastava avvicinarvisi e con un piccolo strappo verso il basso il cavo si sganciava automaticamente. L’aliante era in termica, saliva in virata: avrebbe volato per tutti i tre minuti facendo “pieno” cioè il massimo previsto in gara. Riavvolto il cavo bisognava rincorrerlo per recuperarlo lungo tutto l’aeroporto e campi attigui, cioè per almeno quattro chilometri all’andata e quattro di ritorno: dopo i tre minuti, infatti, scattava un sistema ad orologeria che, facendo ruotare il pianetto di coda di 45 gradi, frenava la corsa dell’aliante e lo faceva, quindi, scendere come un paracadute. Con un vento di circa 10 nodi cioè 19,4 metri al secondo che moltiplicati i 180 secondi di volo ed almeno altri 60 a scendere avrebbe percorso circa 4/5 chilometri! di cui la metà di corsa campestre, ascoltando il ritmo del cuore connesso a quello della respirazione.
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